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Ciociaro,
nato a Frosinone nel 1946, pensionato,
attualmente vivo nelle colline tra
Ceccano e Frosinone.
Dipendente
del Ministero degli Affari Esteri italiano dal 4 febbraio 1969 al 15
gennaio 2003, con missioni presso l’Ambasciata d’Italia a
Lusaka (Zambia), il Consolato Generale
d’Italia a Amsterdam (Paesi Bassi),
l’Ambasciata d’Italia a Teheran (Iran), il
Consolato d’Italia a Bruxelles (Belgio), il Consolato Generale d’Italia
a Buenos Aires (Argentina), il Consolato d’Italia a
Coira (Svizzera) e l’Ambasciata d’Italia a
Skopje (Macedonia).
Giornalista
iscritto all'albo nazionale della Repubblica di Macedonia; volontario a
tempo pieno sia in alcune fondazioni che
nella chiesa locale, limitato nelle attività di giardinaggio dalla
salute, mi diletto con la poesia e continuo alcune ricerche storiche
sull'emigrazione.
Le condizioni di
salute di Aurora ci hanno portato a conoscere e vivere - di tanto in
tanto - a Pavia o Montescano, ospiti del Policlinico San Matteo di
Pavia.
Dopo i momenti di
apprensione, paura e sofferenza, ora viviamo abbastanza tranquilli e,
come ben sapete, vi aggiorniamo sempre sulla situazione.
Qui desidero
conservare le fotografie dei vari periodi.
I° periodo: dicembre 2013/gennaio 2014

Questo il sorriso di Aurora all'uscita dell'Ospedale per festeggiare il
44° anniversario di matrimonio (locanda di Montescano)

Solo Ricordi?
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Boris Visinski
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Cari amici che restano
nel cuore: Boris Visinski
Il mio ricordo a Boris
Visinski, che ci ha lasciato il 29 gennaio2011: questa foto, assieme a tutti gli
amici che ha incontrato
nel mio giardino, in occasione
della sua ultima visita in Ciociaria meno di due anni prima.
Nella foto, da sinistra:
Boris Visinski, Ion Deaconescu, Vincenzo Bianchi, Laura
Minnelli, Silvano Gallon.
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Ricordo apparso su:
"Dante", Giornale della
Società
Dante Alighieri di Skopje: Anno XIII, N.16, 2011
“Boris Visinski: un antico macedone”

"Dante", Giornale della
Società
Dante Alighieri di Skopje: Anno XIII, N.16, 2011
Omaggio a Boris Visinski (1929-2011)
Siamo stati in contatto
fino al giorno prima: stavamo organizzando, presso il Palazzo
Firenze della Dante Alighieri di Roma, una manifestazione di poesia
per il 50° delle Serate di Struga, con un omaggio a Mateja Matevski,
la Corona d’oro 2011; avevo trasmesso una proposta ufficiale e mi
aveva confermato l’approvazione del Ministro della Cultura.
Ho
conosciuto Boris nel luglio del 1996; ero a Skopje da solamente due
giorni e lui si è presentato nel mio ufficio, chiedendomi perché non
ero presente ad un incontro culturale organizzato dall’Ambasciatore
Troni (“ricordo di Cicerone”, con invito scritto in latino) e voleva
conoscermi: il giorno successivo mi ha regalato una ventina di libri
sulla cultura macedone.
L’amicizia, il rispetto, la fraternità che, nata immediatamente, è
esistita e resta tra me e Boris, può spiegarsi con questi due
momenti, segnati nel tempo: ci siamo incontrati immediatamente
trovando una profonda sintonia tra le nostre due menti, e ci siamo
sentiti fino all’ultimo minuto, cercando ancora una volta di dare
spazio alla cultura ed alla poesia, nelle quali credevamo e che
ritenevamo un mezzo rilevante per sospingere i giovani, con
pacatezza e serenità, con riflessione e attenzione, innanzitutto
verso una crescita spirituale.
Lui ortodosso, io cattolico, assieme abbiamo
incontrato tanti rappresentanti della cultura islamica con i quali
potevamo ben colloquiare e dai quali eravamo ben accolti. Egli
viveva la sua percezione religiosa ascoltando e parlando con tutti i
rappresentanti delle espressioni religiose, ben oltre quelle più a
contatto con noi.
Boris ha vissuto la situazione culturale della
Jugoslavia prima e della Macedonia poi, vivendo alcune tensioni
emotive - l’indipendenza e lo scontro culturale creatosi all’interno
della cultura hanno evidenziato alcuni comportamenti o atteggiamenti
socio-culturali che riteneva abbastanza teatrali - in maniera molto
calma e pacata pur se delusa e rattristata, ma mai reazionaria o
proditoriamente critica, senza partecipare alla diatriba, rispettoso
e studioso com’era di ogni espressione ed i sentimenti che
l’animavano costantemente erano quelli dell’uomo della cultura
macedone, di una Macedonia d’ogni tempo, di una Macedonia ricca di
storia.
Con
la sua intelligenza culturale, Boris credeva nell’uomo e restava “di
ghiaccio” di fronte ad atteggiamenti, spesso plateali ed
esibizionistici ma senza spirito, di alcuni, a volte anche amici di
lunga data, che così agivano solamente per una direzione egoistica e
di interesse, non culturale e di progresso: mai prigioniero di
convenzioni e regole, si differenziava sempre per la sua capacità di
mediazione, condita di profonda competenza, da tutti apprezzata
anche per la sua libertà, o, si potrebbe dire, per la sua
emancipazione culturale.
Egli ha vissuto sempre con partecipazione, piacere e
impegno, convinto, oltre che capace, di offrire sempre un contributo
positivo alla reale e naturale condizione d’esistenza dell’uomo,
attraverso la cultura, perno intoccabile della società.
Anche nel nostro ambiente italo-macedone era una pietra d’angolo
(sono riuscito a fargli assegnare il primo Commendatorato della
Repubblica per meriti culturali), pronto a dare il proprio
contributo, spesso indispensabile, per ogni costruzione: e noi
eravamo un binomio che riusciva a concertare ogni appianamento nelle
divergenze che sorgevano di tanto in tanto tra le associazioni o tra
le persone. E tutti avevano un profondo rispetto per quest’uomo che
aveva sempre un sorriso accattivante, che sapeva considerare in
negativo un progetto, semplicemente con alcuni gesti della testa –
che non dicevano esplicitamente “no!” – e con alcune espressioni
generalizzate e concordate tra mani, occhi e corpo, che portavano
innanzitutto ad un brindisi con la jolta e poi ad una revisione di
quel discorso imperfetto e ad un nuovo accordo degno e di spessore:
era questo l’uomo di cultura Boris Visinski.
Non
l’ho mai visto arrabbiato, mai scontento, e se qualcosa non andava
era capace e convinto di superare tutte le anomalie con un
atteggiamento così tranquillo e sorridente e così bonario ed
affabile, che gli riusciva ogni cosa, lui che con il romanzo e con
la letteratura viveva quasi sempre in un giardino fantastico.
Non
voglio descrivere tutto quello che abbiamo fatto assieme; tantissime
manifestazioni, tantissime iniziative, tantissimi incontri; è venuto
a trovarmi qui a Frosinone ed è stato a casa mia più di una volta,
ci siamo incontrati a Recanati, a Roma, a Cervara di Roma, ed
insieme siamo andati in tanti paesi della Ciociaria.
Mai
c’è stata una minima divergenza nelle nostre idee e nelle nostre
iniziative: eravamo l’uno complementare dell’altro; dal punto di
visto professionale, sapevamo senza telefonarci e senza disturbarci
quello che ognuno doveva fare. Ed abbiamo vissuto la nostra amicizia
nel modo più naturale e più istintivo ed immediato con una intensità
mai costruita ad arte ma sempre spontanea, dal 1996 fino ad oggi.
Qualcuno mi ha detto che eravamo quasi fratelli: se fratelli si
intende tutto questo sì. Ed io posso dire di aver perso un fratello.
Boris, è stato, per me, sempre uguale: la stessa camminata, la
stessa borsa, la stessa determinazione, lo stesso coraggio, la
stessa caparbietà nell’operare, la stessa sicurezza e la stessa
precisione; mai che avesse dei dubbi sulle informazioni; così come
conosceva tutti i numeri di telefono a memoria, così non poteva non
aggiornare chiunque sui rapporti culturali tra l’Italia e la
Macedonia, nel passato e quello che avrebbe potuto essere nel futuro
Io,
e sono sicuro accompagnato dai tanti altri funzionari
dell’Ambasciata d’Italia a Skopje che l’hanno conosciuto sin
dall’apertura della sede diplomatica, dico grazie a Boris e resterò
sempre addolorato, privato di un grande eccezionale amico.
Silvano Gallon (Frosinone, maggio 2011)
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Paolo Gir
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Cari amici che non si possono
dimenticare: Paolo Gir
In questo abbraccio, il mio ricordo
a Paolo Gir
che ci ha lasciato l'8 maggio 2013:
in questa foto a Coira, nel maggio 2012,
quando andai di persona per gli auguri
del 94° compleanno
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Palo Gir mi ha fatto dono di
25 anni di amicizia.
L'ultima sua lettera porta la data del
9 aprile 2013:
"Ti accompagno e ti abbraccio,
Paolo Gir",
così mi salutava.
Si mi accompagnerà sempre,
quel poeta grigionese che amava Leopardi, come me,
e che mi ha fatto ri-amare la poesia
del cuore.
Quei nostri caffè all'Arcas
o i nostri incontri a Struga,
a Cervara di Roma o a Recanati,
tutti animati dalla sua genuina
umanità,
da quel particolare spirito poetico
che lo avvolgeva completamente,
e stimolato da quel fanciullino
pascoliano
che lui amava tanto.
Paolo è stato "il poeta"
,
amico di tutti ma particolarmente
amante dell'Italia,
della sua poesia, della sua cultura.
E' stato anche quì a Ceccano
e come sempre ha saputo vedere attorno
a sé,
in quei pochi momenti di soggiorno,
espressioni poetiche
offrendo la sua
gioiosa partecipazione
ed ammirazione a quello che lo
circondava.
Carissimo Paolo,
cerca, lassù, i nostri tanti
amici comuni,
quei poeti che stanno componendo
l'universale e
l'assoluto
e i tuoi consigli mi condurranno,
ancora e per sempre,
a cercare il bello che è attorno a
noi,
quel bello e quel buono che non tutti
sanno
apprezzare e amare,
come spesso facevamo noi due
nei
vicoli della tua Coira.
Grazie Paolo!
Addio Paolo!
(maggio 2013)
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Così ho voluto ricordarlo ad un anno dalla morte:


Ricordo apparso su:
Giornale del Popolo – Quotidiano della Svizzera italiana:
03.05.2014
Giornale del Popolo – Quotidiano della Svizzera italiana:
03.05.2014
Letteratura
(03.05.2014 - 05:00)
Ricordo dello scrittore grigionese Paolo Gir ad un anno
dalla morte
Mi ha
sempre tanto ringraziato, anche se io ho fatto ben poco
se non offrirgli la mia amicizia: «Non
dimenticherò mai le ore trascorse insieme a te e agli
amici poeti e pittori. Sono momenti della vita che
l’arricchiscono e che le danno sostanza per tirare
avanti; scriverò ancora qualcosa sul monte
dell’Infinito.»

Paolo
Gir sotto la finestra di Giacomo Leopardi a Recanati (un
sogno avverato).
di Silvano Gallon
Ad un anno dalla sua
scomparsa, desidero ricordare l’amico Paolo Gir con
alcune citazioni che provengono da quella corrispondenza
che è stata abbastanza intensa sin da quando in quel
giugno 1996 lasciai Coira per Skopje. Ci saremmo
rincontrati più volte, in incontri poetici ma anche a
Coira – dove ci univa quella Rheinstrasse sulla quale
abitavamo – o nella mia ultima casa di Ceccano.
Resta in me un’immagine
indelebile osservata dalla mia finestra una domenica
d’estate (l’affianco al primo incontro, quando ascoltai
Paolo in una conferenza alla Biblioteca Comunale di
Coira e mi colpirono i suoi “è vero?” con sguardi fissi
sui presenti e lunghi silenzi di interrogazione): era
appena pomeriggio, Paolo scese dal bus – credo che fosse
il 3 – e, fatto lo scalino, attese sua moglie, le tese
la mano, l’aiutò a scendere e poi, mano nella mano,
attraversarono la strada per dirigersi verso il
lungoreno a respirare il profumo e le parole di quelle
acque che l’hanno aiutato tanto a scrivere (dopo alcuni
anni espresse uno stesso sentimento di galanteria e
riconoscenza inchinandosi e togliendosi il cappello con
un ampio gesto della mano nel salutare il sindaco di
Recanati che, nei festeggiamenti in onore di Leopardi ai
quali Paolo era stato invitato, arrivava in piazza su
un calesse).
A questo non può che
fare da contrapposto, quello che mi disse subito dopo la
morte di sua moglie: Silvano, mia moglie non mi
riconosceva più (Paolo mi aveva già espresso il suo
rammarico perché sua moglie non riconosceva più le sue
mani e la sua voce), per me era molto faticoso e
doloroso starle vicino, ma ora quanto mi manca!
Sono le due immagini che
segnano la profondità dell’amicizia di Paolo e la mia
vicinanza che resta viva a Coira ed al Grigioni; due
immagini che racchiudono e sintetizzano i sentimenti, le
impressioni, le sensazioni della vita e del tempo che
non dimenticavamo mai di raccontarci, sperando sempre,
fino all’ultimo, in un nuovo incontro e sorridere a
quello che ci eravamo scritto: ma, soprattutto,
sorridere alla gioia che la vita ci dà, in qualsiasi
condizione noi la vivessimo, e soprattutto l’amare non
le cose sensibili e materiali ma quelle immortali perché
il sapiente Paolo aveva un animo che cercava di vedere,
narrare e conoscere ciò in cui credeva.
E il
suo gentile figliolo, mi ha voluto ringraziare il 15
maggio 2013, ricordandomi come
“Paolo
seguiva con interesse le sue pubblicazioni e si
rallegrava molto quando riceveva le sue lettere e quando
veniva a trovarlo a Coira”.
Dalla
sua parte, mi chiamò anche collaboratore, nota stonata
nell’ambiente culturale, non sempre così fraterno,
perché
“chi
opera nello spirito (cioè nella poesia e nel pensiero e
in altri campi dell’intelligenza umana) è uno che
collabora e che unisce il suo lavoro al lavoro di
un’altra persona … ognuno di noi scava un sentiero che –
assieme ad altri lavoratori – conduce a un unico fine:
quello di scoprire la luce di una verità. E la luce del
poeta è anche la luce del pensatore vista attraverso
l’immediatezza dell’intuizione. E’ questo un grande
pregio in tutti i tempi, dato che in tutti i tempi
(anche in quelli di valore) l’uomo ha bisogno di
orientamento nell’affannarsi dei sentimenti, dei
pensieri e dei valori. Sono lieto se le mie poesie
“Passi nella vita” possano tentare di approdare a una
meta che è la visione o il punto di un possibile
assoluto. Nello scompiglio provocato da una corsa nel
relativo e quindi in una crisi di valori, occorre
immaginare il bello nel senso del vero e del giusto. Ma
basta volerlo, ed è questo già una conquista”.
Paolo
senza amici non sapeva vivere e con essi era sempre
felice e contento. La corrispondenza ci univa -
“quale
piccolo segno di vita”,
mi diceva - non dimenticando mai di illustrami immagini
e visioni di ambienti fisici e spirituali cercando in
se stesso una consonanza gioiosa con ciò che contemplava
e scriveva:
”attraverso la poesia si impara ad accogliere e ad amare
la verità, la giustizia e la carità. C’è nella poesia
un’etica che trascende ogni altro ordine voluto e
stabilito dalla convenienza. E’ l’etica dell’amore
infinito contro la quale ogni segno di opportunità
scompare. La bellezza coinvolge tutto il nostro essere
senza rimanere una categoria puramente estetica (nel
senso che diamo oggi a questa parola). La tua lirica
“Libertà” è in grado di dire tutto ciò che induce al
travaglio umano misto d’angoscia e di fili di azzurra
gioia. Nei clamori della notte i rumori della strada,
ancorché possano distrarci e pensare alla vita che
pulsa, sono spesse volte l’esilio e la minaccia di una
nuova vita senza accoglienza. L’ho provato da ragazzo
quando dall’Engadina tornavo a Poschiavo per
ricominciare la scuola”.
Era un
pensatore, Paolo, dagli occhi aperti ad una vita che
trascendeva ogni visione:
“il
sentimento sta alla base di ogni sintesi di valori e di
età sull’altra riva dell’esperienza puramente percepita
dai sensi e custodita nel rapporto della sola utilità
economica e del puro bisogno di esistere
nell’immanenza.”
Ci
scambiavamo i commenti sui nostri versi i quali
diventavano spunto non solo di riflessione, ma di
coinvolgimento dei nostri comportamenti per vedere oltre
il nostro cammino umano:
“Nel
componimento “compleanno di un bambino del 6 dicembre
1946”, si compie il passo della poesia come rilevato da
Leopardi: esso è una illuminazione del passato
arricchito da una visione per cui la situazione di un
tempo emerge nella sua sostanza più vera: quella
trasmessa al di là dell’esperienza dell’istante e, per
tanto, incompleta e monca. Significa chiedere e
rispondere di fronte a un incanto di cui gli atti e le
cose sono immerse. Negli ultimi versi della poesia ora
citata (amore di fanciullo / che la vecchiezza non
prende) si apre lo spiraglio dell’amore sentito e visto
nella sua dimensione d’infinito. Ed è pur vero: ogni
poesia, che sia tale, schiude il sentimento
dell’infinito, il quale ritorna nelle cose e sempre se
ne va, senza condensarsi in un oggetto stabile e
sottomesso alla meccanicità.”
“O il canto “domenica”:
qui la coscienza (frutto del sentimento) che l’arte dà
delle cose e delle situazioni, riflette l’etica suprema
del poeta: “scorro una muta povertà / non rubo le grida
dei miseri / nell’angustia di un giorno di festa” (…)
vuol dire ritornare alla comprensione, meglio
compassione, del tutto e col tutto: non è questo l’apice
della religiosità che è rispetto e meraviglia del mondo
in tutti i suoi aspetti?”
Nei
tempi in cui poteva muoversi oramai con lentezza - “con
la sua Ferrari”, come amava chiamare il carrello - mi
rassicurava che usciva volentieri ricordandomi alcuni
angoli della Coira che avevamo calcato lentamente per
oltre cinque anni:
“faccio
le mie passeggiatine giornaliere e mi prendo un buon
caffè in un rione di Coira non troppo famoso ma ancora
vivo d’un modesto fascino del “sole di ieri”.
Più tardi, nel farmi presente che avrebbe voluto
pubblicare alcuni brani di prosa, racchiusi nel
cassetto, e che avrebbe voluto intitolare “le vie
dell’amore” – non so se riferiti a Coira – espresse
alcuni dubbi a cui non avrebbe fatto più seguito:
“non so
però se i racconti sull’amore siano capiti dalle nostre
popolazioni dei Grigioni”.
E nell’ultima sua nota del 9 aprile 2013:
”la
tua scrittura mi ricorda i giorni pieni di pace
trascorsi con gli amici di Italia e in Macedonia. Lo
spirito non mente”; è la prima lettera dalla Casa
anziani di Coira dove si trovava “da circa un mese …
dove gli animi sono sensibili”.
Mi ha
sempre tanto ringraziato, anche se io ho fatto ben poco
se non offrirgli la mia amicizia:
“Non
dimenticherò mai le ore trascorse insieme a te e agli
amici poeti e pittori. Sono momenti della vita che
l’arricchiscono e che le danno sostanza per tirare
avanti; scriverò ancora qualcosa sul monte
dell’Infinito.”
Quanto
amava il Leopardi, non cessava mai di fare riferimenti!…
E quando fu invitato a Recanati, mi esternò tutta la sua
soddisfazione:
“che
bella sorpresa. Andare a Recanati ed abbracciare gli
amici poeti!... Vedere il monte Tabor, quello
dell’Infinito e i luoghi dove Leopardi passò la sua pur
triste infanzia! Ne sono veramente sorpreso e felice di
un simile invito. … Sarebbe una cosa meravigliosa
passare per vie dove il grande poeta passò e dove – per
grande amore della vita – dovette soffrire tanto. E il
Monte Tabor, quello dell’Infinito! Ma il poeta vedendo
troppo o molto o in modo insolito, deve prendersi su di
sé un fardello non lieve. Ma la sua creazione gli è di
sommo guadagno.”
Direi
che amava sovente anche fare riferimento al fanciullino
del Pascoli, e questo perché in Paolo è sempre rimasto
vivo quel sentimento del giovane che lasciando le valli
e giungendo a Coira, quindi Zurigo e Firenze, veniva
sempre colpito dalla natura, dal creato e dall’uomo, nei
quali sapeva scoprire infinite espressioni del bello e
del buono; ogni sua lettera traboccava sempre di slanci
entusiastici che svelavano un suo amore instancabile per
la vita. E questo fino all’ultimo giorno, quando dal
ricovero mi scrisse
“qui gli
animi sono sensibili”.
Parlava della mia poesia:
“La tua poesia
tocca i punti cardine di quello che sentiamo nei momenti
di contemplazione, i quali sono i momenti d’intuizione
dell’invisibile: pensare le cose sullo sfondo di un
mondo che rischiara e abbellisce, ecco la tua poesia”,
ma questo erano soprattutto le sue convinzioni e turbe
interiori, come quando mi inviò una copia della rivista
di Lugano
“con un mio
articolo sulla ricerca perenne di Dio”.
E’ un tema questo che abbiamo trattato solamente nella
sostanza, ovvero nel comportamento e nel camminare
insieme sul cammino di una fede comune. Tanto che una
volta mi scrisse quasi scusandosi che aveva trattato il
pensiero fiero del Risorgimento italiano con commozione,
specificando come
“a proposito il ruolo del laicismo, che non significa
discordia verso la Chiesa e le Chiese, ma bensì la
separazione di principi su cui si reggono le differenti
istituzioni. Senza detta distinzione e reciproca
tolleranza non c’è dialogo, il quale vuole spazio per
discutere”.
Commentando la mia poesia “La Neve” -
“è un
incanto di immagini e di sentimenti degni d’una visione…
e superiore ad ogni altra lode”
– mi espresse la sua contenta riconoscenza per aver dato
un mio modesto contributo a far conoscere il suo
pensiero tra i lettori italiani, anche se mi aggiornava
di essere diventato un po’ avaro con la poesia
“negli
ultimi mesi ne scrissi due sole pubblicate nei fascicoli
grigionitaliani. E quindi mi sento a mio agio, medito.”
In
questa non breve corrispondenza, che conservo
gelosamente, mi ha trasmesso due componimenti che non so
se siano stati già pubblicati. Il primo, “Tasselli” -
che così mi spiegò qualche mese dopo:
“Dimenticai di osservare che il tassello di cui parlo
non vuol essere la fine di un nostro discorso, ma la
condizione per un inizio che sempre si pone e che ci
illumina”
– e la seconda “Andiamo “
con dedica “A Silvano Gallon”.
Il 9
aprile 2013, firmò la sua lettera
“Ti
accompagno e ti abbraccio”:
la sua amicizia per un amico che continua ad
accompagnare ed una firma alla sua poesia i cui versi
resteranno per sempre.
Tasselli
(settembre 2011)
Tramontato il discorso,
- l’ultimo,
rimangono cubetti rosa,
uno spillo, l’opale d’un anello
e altro.
Tasselli da mettere dove?
Indicami il vuoto, l’occhio spento
d’un volto, la mano d’un amico
scomparsa ch’io possa
chiudere l’immagine
di cinquant’anni, bella ancora;
mosaico d’altri tramonti
purché un granello chiaro
lo compia.
Riprenderemo allora un discorso
mai finito d’un domani occulto
e di sereni bagliori
al di là d’un tempo vicino o lontano.
(Paolo Gir, ricordando i
giorni di Struga)
*
Nel
luglio 2012, rientrato dalla mia
visita a Coira, Paolo Gir ha voluto dedicarmi
questa poesia:
Andiamo
A Silvano Gallon
Scendiamo
all’ombra del cuore
oggi che piove.
Un fascio di sonno
rallenta l’insaziabile giorno
e forse troviamo un
candore di fresco,
gocce d’una esasperata sera.
Andiamo.
L’ombra del cuore
serba un incanto
mai visto: le ferite chiuse dal tempo;
e un pallido sole
lava a tratti l’arena
d’uno sconfinato deserto.
(Paolo Gir, luglio 2012)
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Cari amici che non si possono
dimenticare: Luigi Rossi
Tra i pochi
scambi ed incontri fruttuosi avuti in Italia,
un amico della poesia -
non poeta - conosciuto in Italia
è stato Luigi Rossi
(l'unico assieme a Franco Foschi);
desidero ricordarlo con
tutta l'amicizia e l'affetto che ho sempre nutrito per lui
sin da quando ci siamo conosciuti.
Nella foto consegno,
assieme a Vincenzo Bianchi, a lui ed a Kiril
Dobrusevski, il premio "Il Vento della Pace".
Artefice di eccezionali iniziative,
ha dato un senso nobile
ad un paese
eccezionale, offrendo spazio, luoghi e sentimenti
all'arte ed alla
cultura.
L'ho conosciuto in occasione della sua visita a Skopje
e da allora
tra noi si è manifestato e continuamente alimentato
un forte legame di amicizia, di
rispetto, di fratellanza.
Insieme abbiamo organizzato
l'Incontro Poetico d'Europa
che ha visto la partecipazioni di poeti di
fama mondiale
e di personalità quali Ministri ed
Ambasciatori,
ArciVescovi della Chiesa Cattolica
e della Chiesa Ortodossa,
e tanti altri sindaci e rappresentanti della cultura
dalla Lettonia alla Romania, dalle Filippine all'Isola Réunion,
dalla
Germania alla Nigeria.
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Una mia poesia dedicata a Cervara di
Roma,
segno del mio affetto per la città e
la cittadinanza
è stata riportata nell'arco del Vicolo Rossi
(nella foto con il sindaco Giulio
Rossi)
Cervara
Verso valle
le pecore tornano all'ovile
ed un asino
padrone indisturbayo
di un prato silenzioso
pensa...
Il cielo
azzurro e più bruno,
offre il fresco della
sera...
Le case,
grigio chiaro
e più scuro
non si nascondono
alle note della notte in
arrivo...
Io
ti respiro
Cervara
sotto il leccio
del vicolo
di Pietro Rossi ....
(Cervara di Roma, maggio 2005)
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Boris Petkovski
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Cari amici che restano
nel cuore: Boris Petkovski

Boris non amava tanto
presentarsi, ma amava illustrare, spiegare mettere a
disposizione degli altri tutta la sua profonda conoscenza
dell'arte balcanica; solo una volta ha avuto un momento di
"euforia" e mi ha chiesto di fotografarlo così su una delle
tombe romane, mentre visitavamo Skupi. La mia stima, la mia
amicizia, il mio affetto imperituri lo ricordano e lo
testimonio con questa foto.
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Ricordo apparso su:
Supplemento Speciale al Giornale Dante di Skopje:
ottobre 2010
“...quando quattro amici...
...continuano...”

Supplemente Speciale al Giornale Dante" -
Anno I, X-2010, numero unico
... quando
quattro amici...
...continuano...
Allorché ero in servizio
agli esteri, incontrare le persone ea quasi una necessità
quotidiana; e ricevere personaggi della cultura (sempre pochi
rispetto ai politicanti) mi faceva piacere, oltre che onore per
essere ritenuto un interlocutore idoneo o perlomeno non troppo
incapace.
A Skopje, conobbi quasi
immediatamente Visinski, che assieme ad Italo Bertoni, mi diede, da
subito, ogni impulso ed ogni coraggio per intraprendere un percorso
culturale anche in macedonia (oltre che passaporti - e non era da
poco costruire, per la prima volta, la comunità italiana: anzi è
stata una delle più commoventi esperienze tra gli emigrati ! - e
centinaia di richieste di visto da esaminare e soddisfare); già dai
primi incontri, parlando di arte, musei e contatti italo-macedoni,
il Visinski spesso mi accennava ad un altro Boris, che era un po'
restìo e non amava affatto presentarsi in Ambasciata (tanto meno
parlare della sua vita).
Passò pochissimo tempo e
lo conobbi e subito lo presentai anche ad Italo; Petkovski non amava
frequentare salotti e non amava parlare con superficialità; la sua
competenza e la sua serietà erano accompagnate da una grande dignità
che faceva del suo impegno professionale (era in pensione, ma sempre
attivo) qualcosa di nobile, sero e rispettabile per gli studenti,
per i giovani e per tutti coloro che avevano a cuore le espressioni
artistiche e culturali.
Non osava introdursi
senza un motivo, ed attendeva sempre che venisse offerto un
colloquio costruttivo, che comportasse un qualcosa di nuovo e di
interessante da presentare nel segno delle più meritevoli e lodevoli
manifestazioni culturali; lui, pur avendo sempre amato l'Italia (mi
raccontava della sua nonna, Antoniazzi di cognome, come la mia) non
era, all'epoca, molto sollecitato da manifestazioni che avessero
potuto coinvolgere direttamente i due paesi, l'Italia e la Macedonia
(almeno in contatti all'interno dell'Ambasciata).
Quando decidemmo di
fondare la Dante Alighieri, Boris Visinski mi disse che solamente un
uomo come Petkovski avrebbe potuto prendere la presidenza vacante
del Centro Culturale Italiano di Skopje, associazione da noi creata
l'anno precedente per favorire le manifestazioni cutlurali: "espetro
critico d'arte, molto scrupoloso e sensibile si impegnerà come
nessun altro potrebbe fare", mi disse.
Egli accettò l'incarico
e no molto lentamente ci conoscemmo, allargammo i nostri incontri e
l'amicizia che ci unì fu talmente forte, che Boris Petkovski iniziò
a manifestarsi anche con un linguaggio fatto sempre più di
goliardica allegria (aspetto questo, che, all'inizio, sembrava non
fosse affatto del suo carattere).
Fu l'artefice della
riuscita di tanti incontri; mise a disposizione, con animo buono e
ampio, con contegno e con qualità morali eccezionali, tutta la sua
straordinaria competenza, divenendo un alfiere della propaganda e
della programmazione delle manifestazioni culturali che
coinvolgevano l'Italia in macedonia: per noi tutti, si faceva
riferimento sempre e per ogni pur piccola iniziativa a Boris1 e
Boris2, per identificare questi due personaggi di cui l'Ambasciata
stessa non poteva fare a meno.
Potemmo così,
familiarizzare un po' tutti con Boris Petkovski ed egli divenne un
amico, un carissimo amico, tanto che riuscimmo a coinvolgere anche
le rispettive famiglie (nella mia famiglia, il ricordo va spesso
alla signora e ad Antonella); non esistevano tentennamenti o parole
vuote per capire ed assecondarci, aiutarci e decidere come andare
avanti.
Boris era una persona
cos' coscienziosa e cos' capace, che prendeva un appunto dal mio
ufficio e tornava con una relazione scritta, appena un paio di
giorni dopo. Era preciso, sincero, onesto, perfetto nelle sue e
nostre operazioni culturali, e non mancava di esprimere complimenti
a tutti, anche a me, suo piccolo e modesto discepolo-amministrativo.
Conservo una sua
fotografia, scattata quando mi accompagnò a visitare la necropoli di
Skupi; si mise su una base di marmo e si atteggiò a dittatore
romano: rideva, scherzava, e mi raccontò tanto, parlando
liberamente sui romani, su Roma, sulla via Aegnatia, e su tante
battute con riferimento agli stornelli romani ed a Pasquino.
Fu eccezionali
nell'organizzare la visita di padre Michele Piccirillo, che lo
ricordò in alcune cartoline scrittemi (anche lui scomparso appena il
mese scorso, che ha lasciato in Palestina un vuoto incolmabile); era
scrupoloso ed io potevo ammirare tutto il rispetto di cui godeva da
parte dei giovani nuovi direttori, quando si organizzavano mostre al
Museo d'Arte Contemporanea o negli altri Centri culturali di Skopje.
Si lamentò, ma solamente
un po', perché l'Italia lo trascurava; desiderava la cittadinanza
italiana (ma io non potevo fare nulla, perché la sua pratica doveva
essere istituita in Istria) e si aspettava un riconoscimento formale
per il suo impegno culturale: lo stavamo preparando, ma non c'è
stato tempo.
Ci siamo sentiti per
telefono, poco prima che ci lasciasse, ed anche in quella occasione
si lamentò di un aspetto così importante per lui (e così toccante e
profondo per me), perché non voleva assolutamente scalfire quel
forte sentimento di amicizia che, da quando ci eravamo conosciuti,
ci aveva sempre legato: "come sono ora non posso scriverti - mi
disse -e per parlarti ho anche bisogno di chi mi sostiene il
telefono...".
Non posso e non potrò
dimenticarlo; ho un ricordo affettuoso del suo essere schivo della
scena e dei riflettori (e questo lo ha molto penalizzato
nell'ambiente culturale anche macedone) ma nello stesso tempo
gioviale ed estroverso nei sani e veri valori, del suo essere
schietto, leale e genuino dell'amicizia, e l'ho sempre e tanto
stimato ed ammirato e mi accompagna continuamente nel mio passeggio
da pensionato, pieno di emozioni.
Mi resta uno degli
ultimi ricordi, al bar Roma-Parigi (o Rim-Paris, con Micko, che ci
assecondava con generosità e sensibilità e con gradita familiarità):
attorno ad un tavolo eravamo in quattro - Boris e Boris, Italo ed il
sottoscritto - il più bel cenacolo mai consumato, in spensierata
serenità, con una jolta abbondante (cosa che Petkovski non amava
tanto, ma nemmeno Italo) ed una lunghissima, interminabile
conversazione sul valore delle relazioni fra gli uomini -
soprattutto tra coloro che ostentato un'estrazione diplomatica o
un'appartenenza culturale (quelli che, spesso, desiderano
accontentarsi di un'aureola priva di brillantezza, fatta solamente
di fatue scene) -di quelli che cercano di dare un senso al loro modo
di vivere, improntato sulla nobiltà di cuore e sulla signorilità del
proprio comportamento umano e professionale, fondato soprattutto sul
valore, inalienabile e sacro, dell'amicizia e del rispetto altrui.
Fu l'unica volta in cui,
quei quattro personaggi "di una certa età" ed affatto "amanti della
jolta" non intendevano alzarsi e ritirarsi: un sabato pomeriggio
lungo, che ancora oggi resta vivo e presente ... e continua.
Silvano Gallon (Frosinone, 2010)
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Italo Bertoni
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Cari amici che restano
nel cuore: Italo Bertoni
I passi di Italo
camminavano con i miei passi: nella piazza di Skopje, in
ufficio, nella Chiesa Cattedrale cattolica, nelle mostre,
nelle inaugurazioni, nei viaggi; l'ammiravo tanto e
stimavo il suo vivere di amore e rispetto, dedito sempre
alla cultura da insegnare e trasmettere. Un filosofo che
donava sempre anche senza parlare ed in ogni manifestazione della
vita quotidiana.
Nella foto, da sinistra:
Boris Petkovski, Silvano Gallon, Italo Bertoni, Boris
Visinski, Ambasciatore Antonio Tarelli, Renata Trajkovska.
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Ricordo apparso su:
"Dante" - Bollettino della Società Dante Alighieri di Skopje
- Anno II, n. 10 - ottobre 2001
“Un
amico della Dante ..... ma non solo!”

"Dante" - Bollettino della Società Dante Alighieri di Skopje
- Anno II, n. 10 - ottobre 2001
Un amico della Dante
..... ma non solo!
Italo Bertoni, dalla
sua Genova, dalla sua Pavia, dalla sua Oulx, arrivò qui per
coltivare ancora, sia pur in età di pensione, quel suo amore verso
l'insegnamento e verso i giovani.
Lo convinse a venire
a Skopje l'Ambasciatore Troni e forse anch'io ho un piccolo merito,
senza lode e senza baisimo, se non ha abbandonato dopo il biennio
stabilito.
In questi quattro
anni, oltre all'insegnamento che ha consentito l'avvio del corso di
laurea in lingua e letteratura italiane fino alla consegna delle
prime lauree, ha offerto borse di studio ai suoi studenti, ha
organizzato conferenze, ha collaborato con le associazioni italiane
e macedoni; ci è stato sempre vicino con la sua esperienza, con la
sua calma, con la sua profonda convinzione che l'uomo ha bisogno
dell'uomo innanzitutto: e questo ben sapendo che non si può non dire
la verità, anche se a volte non facile da digerire.
il martedì, quasi
sempre, nell'ora serale era solito passare nel mio ufficio ed
insieme si prendeva una jolta (vizio macedone, ma ricarica
indispensabile per scaricare l'iter della giornata) e ci
aggiornavamo sulla attività delle associazioni, sulle novità
culturali, sulla salute degli amici. Ci rivedevamo la domenica
mattina, alla Santa Messa in cattedrale, dove potevamo scambiare
alcune considerazioni con il Vescovo o con padre Antonio (al quale
spettava anche l'onere di offrirci "la medicina") e concludevamo la
giornata incontrando qualcuno della collettività, visitando qualche
monumento o qualche villaggio. Attività ordinarie di persone
normali, ma insieme ci trovavamo bene perché ci rallegravano le
buone iniziative e partecipavamo con sentimento alle problematiche
degli amici italiani.
Ha sostenuto la
nascita delle associazioni italo-macedoni e, quando ha potuto, è
stato sempre presnete offrendo il suo contributo culturale di alta
professionalità. Poco prima di partire, ha presieduto gli esami di
lingua italiana ai corsi della Dante Alighieri a Strumica.
Spesso andava "a
studiare" al centro Culturale Francese di cui era uno dei più
assidui frequentatori; ha presentato numerosi libri tradotti in
lingua macedone dall'italiano o qui pubblicati; ha scritto
introduzioni (io gli sono particolarmente grato per i miei due
libri), articoli, saggi; è intervenuto su Dante.
E' stato salutato in
varie maniere, gli abbiamo organizzato il trasloco, ha salutato gli
amici, ma forse quel suo studente "professore, mi spiace che Lei
vada via" (il quale, alla sorpresa del professore "ma se ti
ho visto poche volte a lezione?" ha continuato "Sì, ma io sapevo
che Lei c'era!") l'accompagnerà, nel ricordo, per sempre nelle sue
meritate passeggiate sulle Alpi della val d'Aosta.
Un gruppo di amici
delle associazioni, della comunità italiana, dell'Università, ha
voluto salutare "il professore", e la sera del 25 giugno - dopo aver
presentato "Il Consolato d'Italia a Bitola" alla sede della dante
Alighieri di Skopje -la gioia e la commozione si sono alternate tra
un brindisi e piccoli regali, tra un aneddoto ed un arrivederci
(anche a Casamari e Subiaco, se mai vorrà rincontrare un amico
pensionato in Ciociaria), tra un augurio ed un ricordo di tanti
momenti passati assieme in macedonia, intensi momenti di gioia
reciproca.
Ricordi di Strumica,
Struga, Probistip, Vinica, Bitola; tutti gli amici chiedevano,
ricordavano e lo salutavano. Erano, oltre che commossi, ancor più
addolorati del fatto che "il professore" non aveva voluto avvisare
della sua partenza definitiva.
Grazie Italo: della
tua generosità, della tua disponibilità, della tua collaborazione e
della tua amicizia.
Auguri, Italo: e che
nelle tue future giornate ti siano di buona compagnia anche i nostri
ricordi.
Silvano Gallon e tutti gli amici (tanti), 2001
Dalle sue lettere:
Genova febbraio 2002:
Questa è la prima lettera che scrivo (mi fa ancora un po'
male tenere la penna in mano) ed è per te, per ringraziarti di cuore
per quello che hai voluto scrivere di me - generosamente - sul
"Dante". ... Mi ha sinceramente commosso lo spirito animatore delle
tue parole d'amicizia che, tu sai, ti ricambio con tutto il cuore.
... Penso molto a te, ad Aurora, ai tuoi figli ed auguro a
tutti ogni bene."
Oulx, 21 giugno
2003: ... Quanto a te,
devo dirti che ho sofferto molto per la tua decisione di andare in
pensione: come amico e come cittadino, ma più come cittadino che
come amico. So benissimo che le tue risorse intellettuali e morali
sono sconfinate e perciò sono certo che avrai già elaborato numerosi
progetti che riempiranno la tua vita. ma come cittadino mi domando
quanto mancherai alla comunità italiana di non so quale parte del
mondo. Per la comunità in Macedonia tu sei stato non solo il punto
di riferimento, ma la guida, l'anima stessa di un gruppo al quale
hai consentito di essere italiani prima di tutto, e poi di essere
orgogliosi di essere tali ed hai fornito loro mezzi, strumenti,
ragioni ed istituzioni affinché potessero vivere la loro nuova
realtà nazionale. E non penso solo ai carissimi amici macedoni che
si sentiranno "orfani", ma anche a quelli ai quali avresti potuto
donare ancora la tua generosa disponibilità spirituale. Chi ti
sostituirà?. Penso spesso ad Aurora e le auguro di vero cuore di
recuperare tutta la sua bella serenità. Ai tuoi figli auguro di
trovare con sicura responsabilità la strada della loro vita."
Genova 23 maggio
2004: Sappiate però che siete tutti e sempre nel mio cuore e
nel mio ricordo ed accarezzo con affetto la possibilità, quando la
sorte sarà più favorevole, di un incontro di amicizia e di
gratitudine."
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Carlo Cristofanilli
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Cari amici che restano
nel cuore: Carlo Ctistofanilli
Assieme abbiamo vissuto un giorno
particolare nel mio giardino, luogo ideale per loquire di
poesia.
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Ricordo ad un anno della scomparsa
purtroppo non accettato da alcun
giornale locale:
I
primi incontri con Carlo Cristofanilli avvennero nei
pranzi dell’Accademia Teretina. Il mio interesse
nell’Accademia era quello di studiare e reperire testi
al fine di poter divulgare, di tanto in tanto
all’estero, alcuni aspetti particolari della nostra
Ciociaria.
Avevo
incominciato sin dal periodo della mia missione a
Bruxelles (1980-1985), inserendo nelle varie
manifestazioni culturali all’estero anche visite di
personaggi della nostra terra con una presentazione ed
illustrazione delle nostre abbazie, dei nostri santi e
con l’invito ai nostri poeti, scrittori e artisti - ed
anche sindaci! - con uno spirito abbastanza
sentimentale.
Era
facile memorizzare Carlo, pur non conoscendolo; il suo
modus operandi era di una efficacia e schiettezza che
permettevano di riconoscerlo dopo appena un incontro e
salutarlo con ammirazione e stima, perché i suoi
interventi erano sempre senza lungaggini o fronzoli, ma
stretti al limite e ricolmi di sentimenti e significati
sia sotto l’aspetto cronicistico che storico-culturale.
All’inizio, di Carlo, con il quale non avevo contatti
diretti, prendevo i vari saggi, sia su Teretum che
dall’Associazione di Anagni, e allorché rientrai
definitivamente dalla Macedonia, ebbi il coraggio di
presentarmi da lui per “conoscerci”, ma soprattutto per
riferirgli tutta la mia stima e la mia riconoscenza per
quello che faceva. Non era interessato a me – anche se
mi disse che non gli ero affatto sconosciuto - ma
di lì si stabilì un affetto reciproco che ci portò ad
incontrarci spesso ed a parlare di nostri progetti e
delle possibilità della cultura locale, troppo
bistrattata ed in balia spesso di superficiali e
passeggeri interessi particolari.
In
seguito Carlo mi aiutò a completare con foto e documenti
la mia ricerca sulla Chiesa di san Pietro Apostolo in
Ceccano, libro che lui stesso presentò nella medesima
Chiesa assieme a Don Giuseppe, il parroco emerito e
storico della parrocchia.
Nel
settembre 2014 era nel mio giardino alla presentazione
della mia raccolta poetica “Fogli
dispersi o d’imbarazzo di un giardino pieno di voci”
e dopo aver ascoltato le relazioni di Gezim Haydari,
Ennio Serra e Francesca Carini, intervenne come amava
fare – questo era il suo pregio: pronto a difendere,
criticare, completare e suggerire, senza alcuna remora,
senza alcun timore verso nessuno, difendendo non le sue
convinzioni ma un onesto interesse della cultura,
soprattutto quella nostra locale – e si soffermò
sull’”antico” della mia riunione: in un verde giardino
di casa una cinquantina di amici parlavano di poesia,
discutendo di sentimenti e della vita che scorre
circondata ed animata dai profumi della terra e colorata
dalle meravigliose tonalità della natura.
Subito dopo i primi assaggi dell’“asado”
che avevo preparato per quel giorno, Carlo si alzò, ci
salutò rammaricato per doversi allontanare, anche se non
avrebbe voluto farlo: “non mi sento bene, Silvano” - mi
disse - “ma ci rivedremo sostenendo questi aspetti della
cultura”.
Il
seguito è noto: i nostri incontri si sarebbero svolti a
casa sua, rapito da quella malattia che ha affrontato
con profondo senso cristiano: e mi chiamava spesso,
oltre agli incontri, come per raccontarmi la sua
commozione quando la Madonna Addolorata si era fermata
sotto la sua finestra durante la processione del venerdì
santo e lui ce l’aveva fatto ad affacciarsi.
I
meriti di Carlo nel campo della cultura locale e non,
possono descriverli ed elencarli coloro che conoscono
tutti i suoi libri, i suoi studi unici e particolari,
coloro che l’hanno conosciuto per più decenni, coloro
che hanno avuto modo di incontrarsi e scontrarsi con
lui.
Io
desidero ricordare uno storico-amico, che era sempre
pronto ad accogliere chiunque in quel suo piccolo studio
pieno di documenti e ricordi, di storia e umanità, di
vita ciociara e relazioni. La sincerità e la schiettezza
è sempre stata la sua peculiarità, perché amava
difendere la verità, che erano sì i suoi studi ma
soprattutto la verità oggettiva, ed amava dire “i
documenti parlano … non le parole e le supposizioni”.
Ostacolava e criticava chi non partiva nei propri studi
da documenti certificati ed è per questo che lui
conservava tutto, che metteva con grande gioia a
disposizione di ogni storico, studioso o amico le sue
ricerche e le sue conoscenze, sempre con una infinità di
libri e documenti nella mano.
E’
passato un anno da quando ci ha lasciato e credo che
manca a tanti. Della terra ciociara conosceva tutti i
percorsi e tutte le vie, tappe e soste di papi e santi,
condottieri e artisti. Le tradizioni locali le ha più
volte raccontate in varie serie di pubblicazioni,
soffermandosi sulla cucina, sulla natura, sulla musica,
oltre, logicamente, sulla letteratura, sull’arte,
sull’archeologia.
La
presunzione non era un aspetto di Carlo, e non vorrei
essere io presuntuoso nel ricordarlo, ma tutti i suoi
studi e le sue ricerche testimoniano e sono lì a
confermarlo – sia quelle pubblicate che quelle in
sospeso, che spero possano presto essere stampate -
quanto amasse la nostra terra, quanto si sentisse un
ciociaro vero, quanto fosse un amico di ognuno di noi:
ed egli sarà sempre nella nostra storia, avendo scritto
pagine che nessun altor avrebbe potuto redigere.
Lo
ricordo e lo ricordiamo ad un anno della sua scomparsa
con tutto quell’affetto che merita, con tutta quella
riconoscenza che gli dobbiamo, con tutta quella stima
per quello che ci ha lasciato e su cui continueremo i
nostri percorsi culturali.
Silvano Gallon, aprile 2016
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* * * * * * *
Le mie ore sono tra i colori della natura
con
timidi tentativi nella produzione di olio, marmellate e verdure.


 

Il tempo!
Presidente
Akkad
assakkad@hotmail.com
Associazione
culturale per una conoscenza dei popoli attraverso lo sviluppo degli
scambi culturali tra l'Italia e
la Repubblica di Macedonia ed i
Balcani
(fondata
a Valle Maio nel 2001, con il Prof. Vincenzo
Bianchi e l'Avvocato Giuseppe Iucci)


Presidente
IPE - Incontro Poetico d'Europa
Manifestazione poetica internazionale
che si svolge in primavera

Presidente
Emerito "Accademia Teretina"
Libera Associazione
Ciociara

Coordinatore
Provinciale Fondazione Telethon
Fondazione per la ricerca scientifica
sulla distrofia muscolare e su tutte le malattie
genetiche
www.telethon.it
sgallon@rt.telethon.it


Le 3 EFFE che resistono in Telethon
(Treviso ottobre 2013):
Claudio Benvenuti (Ferrara), Roberta
Bevoni (Forlì), Silvano Gallon (Frosinone):
dieci anni di esperienza comune e, ormai,
radicata amicizia
Riconoscimenti:
Premio Internazionale
"Pace, Fede e Progresso"
(Ventotene, 2012)
Premio Internazionale di Poesia
Cesare Pascarella
(Frontana
Liri, 2009)
Premio Giornalistico
Internazionale INARS Ciociaria per la poesia (Frosinone,
2008)
Medaglia d’Oro
Premio
Persej (Bitola,
Macedonia, 2008)
Premio Accademia
Internazionale Mihai
Eminescu per la poesia (Craiova,
Romania, 2007)
XXX°
Premio internazionale per l'emigrazione (Pratola
Peligna, 2006)
Premio
Labris
d'Oro (Stobi, Macedonia, 2000)
Premio
Josepin (Carassai,
1998)
Cavaliere della
Cristianità e della Pace (Coira,
Svizzara 1996)
Cittadino onorario
Bruxelles
Ilot
Sacré (Bruxelles, Belgio, 1985)

Ventotene, 26 maggio 2012:
Premio Internazionale "Pace, Fede, Progresso"
(nella foto: il Sindaco di Ventotene Dott.
Giuseppe Assenso consegna la targa a nome del Consiglio Regionale ANMIL del
Lazio)


"Labris
d'oro" a Stobi (Macedonia): al
Prof. Italo Bertoni,
a S.E. Viktor Gaber,
a S.E. Faustino Troni ed al sottoscritto, consegnati dal
Prof. Riccardo Campa.
La
mia famiglia: da Refrontolo a
Frosinone


In alto: la famiglia di mio
nonno Antonio e nonna Maria con tutti i
figli davanti alla Villa De Matthaeis nel
1934
In basso: mio padre, mia
madre, e sulla vecchia Casilina Nord assieme
a mia sorella nel 1958
Fino al 2002 ho vissuto a
Frosinone

Il
sito "www.ipe-cervaradiroma.it"
è stato soppresso. Chi vorrà conoscere o ricordare le manifestazioni
dell' "Incontro Poetico d'Europa"
svoltesi a Cervara di Roma, troverà tutto in
questo sito alla pagina "IPE".

info@silvanogallon.it
assakkad@hotmail.com
home
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Silvano
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Missioni
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Libri
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FotoVideo
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Poesia
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